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Quando la fama vale più del talento: la nomina di Jeden Smith a direttore creativo di Louboutin

La recente nomina di Jeden Smith come nuovo direttore creativo della maison Louboutin è un episodio che merita di essere osservato con attenzione. Non si tratta di giudicare la persona in sé, quanto piuttosto il significato che questa scelta assume all’interno di un sistema moda che sembra premiare sempre meno l’esperienza e sempre più la notorietà.

Mentre migliaia di studenti e giovani designer investono tempo, risorse economiche e anni di formazione per acquisire competenze tecniche, culturali e artistiche, assistiamo a un fenomeno che manda un messaggio chiaro: a volte non è necessario aver fatto questo percorso, perché basta un nome conosciuto per accedere alle posizioni più ambite.

Meritocrazia sacrificata al marketing

In un settore dove le scuole di moda chiedono anni di studio su discipline complesse — modellistica, sartoria, storia del costume, textile design, comunicazione visiva, branding — vedere una figura esterna al fashion design assumere il ruolo più importante rischia di essere frustrante. La sensazione è che la gavetta, gli stage, le notti passate a cucire prototipi, valgano meno della capacità di attrarre attenzione mediatica.

Per le aziende, la strategia è chiara: una celebrità al vertice porta visibilità immediata, titoli sui giornali, vendite a breve termine. Ma a quale prezzo? Se il criterio diventa la fama più che il talento, a lungo andare si rischia di impoverire l’intero settore, riducendolo a un esercizio di marketing piuttosto che a un campo di ricerca creativa.

Non un caso isolato

La scelta di Louboutin non è un’eccezione: negli ultimi anni sempre più brand hanno preferito affidare ruoli creativi a personaggi provenienti da musica, cinema o influencer culture.

Basti pensare a Pharrell Williams, chiamato a guidare la linea maschile di Louis Vuitton: un artista di grande impatto culturale, certo, ma non un designer cresciuto tra tessuti e cartamodelli. Oppure a SZA, nominata direttrice artistica di Vans, scelta che ha sollevato più di un interrogativo sulle reali competenze richieste dal ruolo. E ancora A$AP Rocky con Ray-Ban, Lindsay Lohan con Emanuel Ungaro, o Cardi B in veste di direttrice creativa per Playboy: casi che hanno fatto discutere e che mostrano chiaramente una tendenza.

Queste nomine hanno tutte un filo rosso: sfruttare la popolarità per rilanciare i brand. Il problema è che spesso, dietro l’immagine patinata, i veri processi creativi restano nelle mani dei team interni — giovani designer, modellisti, creativi anonimi — che raramente ricevono il riconoscimento che meritano.

L’effetto sugli studenti e sul futuro del settore

Per chi studia moda, questa dinamica rischia di essere devastante. Non solo perché riduce le opportunità, ma perché mina la fiducia nella possibilità stessa di emergere grazie al talento e al lavoro. Chi può permettersi scuole costose, stage non retribuiti e anni di pratica spesso si vede scavalcato da chi possiede semplicemente visibilità pubblica.

Il rischio è duplice: da un lato si scoraggiano intere generazioni di creativi che potrebbero dare nuova linfa al settore; dall’altro si impoverisce la moda stessa, che smette di valorizzare la ricerca e l’innovazione a favore del puro hype.

Conclusione

La nomina di Jeden Smith a direttore creativo di Louboutin non è solo una scelta aziendale, ma un simbolo di come il sistema moda stia cambiando direzione. La celebrità sembra ormai essere la valuta più potente, più della formazione, dell’esperienza e della competenza.

Se la moda vuole continuare a essere un terreno fertile di creatività e sperimentazione, non può dimenticare chi la costruisce giorno dopo giorno: studenti, artigiani, designer emergenti che portano avanti un lavoro invisibile ma essenziale. Il futuro del settore non può basarsi solo sull’eco di un nome famoso, ma deve tornare a riconoscere il valore reale del talento.

 

A cura di Cosimo Martucci

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